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Siamo sempre meno intelligenti. Tra le cause: internet e poca lettura

Autore: Francesco Mercadante

Secondo uno studio del 2005, A long-term rise and recent decline in intelligence test performance: The Flynn effect in reverse (Un aumento a lungo termine e un recente calo nelle prestazioni sui test d’intelligenza: l’effetto Flynn inverso), condotto e pubblicato da Thomas Teasdale e David Robert Owen, il quoziente intellettivo della popolazione diminuisce sempre di più. Verso la fine degli anni Novanta si era raggiunto il picco di crescita; dagli anni Duemila in poi, invece, osservando i risultati dei test effettuati su 500.000 giovani, testati dal 1959 al 2004, si è registrato un calo vistoso e costante. Tale fenomeno prende il nome di effetto Flynn inverso. James Robert Flynn, scomparso di recente (1934-2020), era uno psicologo statunitense noto per i propri studi sull’intelligenza umana e, in particolare, per avere dimostrato l’aumento graduale del quoziente intellettivo della popolazione, almeno fino agli anni Ottanta. Com’è intuibile, l’effetto prese il nome proprio da lui.

È doveroso dire, per quanto la nozione sia ormai risaputa, che il QI è un’unità di misura standardizzata che si ottiene proprio tramite dei test e, soprattutto, in seguito a una prassi di comparazione nella quale si confrontano i dati ricavati dalla valutazione di gruppi accomunati prevalentemente da età e livello culturale. Il ‘dovere’ cui si fa riferimento dipende dal fatto che il dibattito in materia, oltre a essere amplissimo e, per ciò stesso, non suscettibile d’essere riassunto nella sintesi di questo articolo, non si fonda sul parere unanime di tutti gli studiosi e, soprattutto, di tutti i clinici, specie se si entra nel merito dei metodi adottati. Intorno alla metà del secolo scorso, per esempio, lo psicologo clinico David Wechsler (1896-1981), operando presso il Bellevue Psychiatric Hospital di New York e rifiutando la scala Stanford-Binet, elaborò e divulgò la Wechsler Adult Intelligence Scale. In ogni caso, il criterio essenziale delle valutazioni standardizzate è il seguente: l’intelligenza è espressa dalla ‘performance’ e non dalle ‘capacità’. Nel tempo, tra le altre cose, s’è fatto ampio affidamento sull’analisi matematica dei punteggi e sulle funzioni che ne derivano, generando, tuttavia, un po’ di diffidenza circa la ‘freddezza’ dei fattori comuni. Bisogna tenere conto del fatto che lo stesso Flynn, nel 1987, scriveva: “IQ tests do not measure intelligence but rather a correlate with a weak causal link to intelligence” (I test del QI non misurano l’intelligenza, ma, piuttosto, sono correlati all’intelligenza con un debole nesso causale). Come abbiamo anticipato, non possiamo affatto trattare l’argomento in questa sede. Di certo, nello stesso tempo, pur volendo essere cauti, non si può affatto revocare in dubbio la ‘mole dei riscontri’ ventennali di Flynn, in prima istanza, e decennali di Teasdale ed Owen, in seconda.

Tra le ipotesi del preoccupante calo, si annovera il ridotto accesso dei ragazzi tra i 16 e i 18 anni ai programmi scolastici avanzati. Dalle nostre parti, riformulando il linguaggio delle origini, legato a diversi sistemi scolastici, si potrebbe parlare di dispersione o – chissà! – di livelli di studio molto meno competitivi rispetto al passato, ma, naturalmente, occorrerebbe fare delle ricerche specifiche per acquisirne consapevolezza. In The decline of the world’s IQ [Il declino del QI mondiale (2008)], gli autori, Richard Lynn e John Harvey, affermano, addirittura, che “per gli anni 2000-2050, si prevede un ulteriore calo di 1,28 punti del QI genotipico mondiale” (A further decline of 1.28 IQ points in the world’s genotypic IQ is projected for the years 2000–2050). Il declino dell’intelligenza genotipica e fenotipica, in pratica, caratterizzerà anche i paesi economicamente sviluppati.

Un quadro eziologico più completo e chiaro si ha nel 2018, grazie a Bernt Bratsberg e Ole Rogeberg, entrambi ricercatori del Ragnar Frisch Centre for Economic Research di Oslo, i quali, in Flynn effect and its reversal are both eniromentallly caused (L’effetto Flynn e la sua inversione sono causati entrambi dall’ambiente), escludono non solo che il ‘declino’ possa dipendere dalla linea genetica, ma pure che esso sia, in qualche modo, legato all’educazione all’interno delle famiglie o, come s’era ipotizzato in passato, all’alimentazione. I fattori causali dominanti, secondo Bratsberg e Rogeberg, sono limpidamente costituiti dalla formazione scolastica, dall’abuso di internet e dalla drastica riduzione del tempo dedicato alla lettura. Anche in questo campo, cioè in quello che riguarda le cause, le ipotesi, negli anni, si sono fatte numerose e, talora, come s’è visto, anche disparate. Tuttavia, se fino agli anni Novanta, nei paesi sviluppati, il QI cresceva da una generazione all’altra con un’oscillazione da 5 a 25 punti, a partire dal 2004, invece, s’è accertato che il QI diminuisce ogni anno dello 0,25-0,50.

Purtroppo, è ormai lontano l’anno in cui Flynn pubblicava, su Psychological Bulletin, Massive IQ gains in 14 Nations: What IQ tests really measure, cioè quel 1987 in cui si poteva affermare che  “i dati provenienti da 14 nazioni rivelano un aumento del QI che va da 5 a 25 punti in una singola generazione”.