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Sviluppo linguistico, competenza innata
Sviluppo linguistico, competenza innata
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Francesco Mercadante
25/08/2023

La percezione della lingua parlata, che ha inizio, grosso modo, intorno all'ultimo trimestre della gravidanza grazie allo sviluppo delle competenze uditive del feto, è condizione necessaria all'apprendimento e allo sviluppo di qualsivoglia capacità linguistica. Fin dai primi giorni di vita, il bambino, associando l'effetto sonoro col volto della madre, analizza e acquisisce tutti gli stimoli linguistico-ambientali. A darne prova è un lavoro sperimentale in base al quale, fornendo uno stimolo al bambino, se ne misurano i tempi di rotazione del capo verso la fonte da cui viene emesso il suono: in questo modo, è anche possibile ottenere informazioni circa il gradimento e la capacità di discernimento del bambino, il quale, nella maggior parte dei casi, com'è comprensibile, dà priorità e preferenza a stimoli familiari quali sono, in prevalenza, quelli della madre [D'ODORICO, L., 2005, Lo sviluppo linguistico, Laterza, Roma-Bari].

Poiché l'ambiente fetale consente il passaggio delle informazioni a bassa frequenza, quelle cioè che veicolano le caratteristiche intonazionali e prosodiche del linguaggio, è plausibile ipotizzare che siano queste le prime informazioni che il bambino è in grado di percepire e riconoscere quando familiari [Ibid., p. 4].

Il fenomeno del suono si origina da una intensa vibrazione che l'aria espulsa dai polmoni produce all'interno dell'apparato fonatorio: il meccanismo di emissione delle vocali è caratterizzato da una libera fuoriuscita d'aria, mentre quello che porta all'emissione delle consonanti è condizionato da occlusioni e restringimenti. A tal proposito, c'è un dato molto interessante e che testimonia di una eccezionale precocità dei bambini, i quali già ad un mese di vita, sarebbero in grado di percepire e distinguere delle sonorità simili a quelle percepite dagli adulti. Studiando il Voice Onset Time, tempo di comparsa della sonorità, ovverosia il tempo di vibrazione delle corde che permette al soggetto di acquisire un suono, si è scoperto, ad esempio, che tutti i suoni il cui tempo di sonorità è inferiore ai venticinque millisecondi corrispondono alla percezione della b. Si sa per certo, ormai, che, mentre le competenze prosodiche si sviluppano completamente entro i sei mesi di vita, quelle fonosintattiche si formano dai sei ai nove mesi [Cfr., Ibid.]. Si comprende, tuttavia, che, per motivi di ordine fisiologico, l'articolazione linguistica del bambino non è complessa.

Un primo fenomeno verso cui bisogna volgere lo sguardo, in materia di evoluzione psicolinguistica, e che si colloca, per importanza, immediatamente dopo la percezione del suono, cui è strettamente legato, è inequivocabilmente la diade affettivo-espressiva costituita dalla relazione madre-bambino [CAMAIONI, L., 2001, Psicologia dello sviluppo del linguaggio, il Mulino, Bologna], che, specie nella prima metà del primo anno di vita, esprime la maggior parte del comportamento comunicativo del bambino. Il dato che emerge da questa scoperta, ormai più che accreditata, è assai significativo perché il bambino si avvale di questa risorsa speculare di parole e gesti, la madre, per un periodo d'apprendimento, in apparenza passivo, che supera addirittura la comparsa delle prime parole, fino ai 10-13 mesi. Infatti, nei vari monitoraggi visivi effettuati, si sono accertati gli episodi di attenzione condivisa, durante i quali bambino e genitore dirigono l'attenzione sullo stesso oggetto. È evidente altresì che la presenza antropologico-funzionale della diade esclude che il bambino sia in grado di comunicare con intenzionalità: in questa fase prelinguistica, che s'avvia fin dalla suzione, il mezzo coincide col messaggio, che, di conseguenza, non è mai finalizzato ad altro che al soddisfacimento del bisogno immediato. Durante i primi mesi di vita, infatti, le forme di comportamento linguistico che si possono riscontrare non sono quasi mai istruite dalla competenza specifica né, tanto meno, da quella intenzionale. Può risultare utile a tal proposito riprodurre fedelmente la sequenza di Stark riccamente documentata da D'Odorico nel lavoro che abbiamo citato.

Sequenza di Stark [1993]

Stadio uno (0-2 mesi):

Nella fascia post-natale, i bambini producono suoni per la manifestazione di bisogni quali possono essere il nutrimento o la denuncia di un disagio. Il pianto, espressione tipica dell'età, è prodotto con la bocca aperta così da essere assimilabile alla pronuncia delle vocali.

Stadio due (2-4 mesi):

In questo periodo, i bambini cominciano ad esercitare un certo controllo sui meccanismi di fonazione. Ne consegue l'articolazione, pur se discontinua, di suoni di benessere e risate, spesso accompagnati dal contatto con la madre.

Stadio tre (4-7 mesi):

Dai 4 ai 7 mesi, il controllo su laringe e meccanismi articolatori permette ai bambini di iniziare una sorta di gioco linguistico la cui caratteristica fonetica è principalmente vocalica. Si può anche registrare qualche suono consonantico unitamente alla variazione di intensità e di intonazione che caratterizza la fascia d'età.

Stadio quattro (7-12 mesi):

Il completamento del primo anno di vita è associato con la cosiddetta lallazione canonica, fenomeno evolutivo che delinea le competenze prelinguistiche del bambino. La produzione di sillabe, propria dell'età in questione, rafforza le capacità in campo prosodico e fonosintattico acquisite nei mesi precedenti.

Una fascia d'età sul cui studio bisogna soffermarsi è quella che si svolge dai 6-7 mesi in poi, poiché, in questa fase, compare, come s'è scritto, la cosiddetta lallazione canonica, durante la quale il bambino comincia ad associare consonanti e vocali in un'unica sequenza: l'emissione fono-articolatoria che se ne produce è quella delle sillabe “pa”, “ma” et cetera, spesso scambiate dagli adulti per forme di parole compiute. Successivamente, cioè verso il dodicesimo mese, la produzione sillabica del bambino si amplia: si passa dai già noti monosillabi ai bisillabi del tipo “bada”, “dadu”, noti alla psicologia dello sviluppo linguistico sotto forma di lallazione variata [CAMAIONI, L., 2001, op. cit.; D'ODORICO, L., 2005, op. cit.]. Il dodicesimo mese si rivela molto delicato e, di conseguenza, fondamentale nello sviluppo del comportamento linguistico del bambino anche per altre decisive acquisizioni, alcune delle quali consistono nell'uso, dapprima, della gestualità performativa o deittica e, in seguito, di quella referenziale o rappresentativa: nel primo caso, il bambino può utilizzare il palmo della mano per indicare o richiedere qualcosa; nel secondo caso, il gesto significa qualcosa di specifico come, per esempio, il saluto mediante apertura e chiusura della mano.

Prima i bambini imparano ad usare l'indicare per orientare l'attenzione dell'interlocutore, più avanzato è il suo sviluppo linguistico a due anni [CAMAIONI, L., 2001, op. cit., p. 45].
                                 

Le fonti adottate, dunque, ci permettono di sapere che la componente prosodica, come si può già intendere dall'esposizione fatta fin qui, è centrale nella modulazione delle forme primitive di comunicazione, tanto più che gli adulti delle culture occidentali, rivolgendosi al bambino, tendono ad aumentare il tono della voce e a richiamarne molto di frequente l'attenzione. Qui s'inserisce, però, una notazione peculiare e che rinvia agli studi di Chomsky e Pinker in materia di innatismo. Dopo attente indagini, si è scoperto che, presso altre culture, Maya, Kaluli, Wolof et cetera, il bambino, non essendo ritenuto degno dello statuto sociale necessario a un parlante, viene quasi del tutto escluso dalla interazione linguistica diretta con gli adulti. In alcuni casi, il genitore, rivolgendosi al bambino, utilizza un tono di voce molto basso; in altri casi, invece, i bambini vengono affidati completamente alle bambinaie, che, in genere, sono delle adolescenti. Il modello 'non-occidentale' potrebbe far pensare inopinatamente al pericolo di un deficit nell'acquisizione del linguaggio; eppure, la testimonianza resaci dallo studio di Camaioni ci impone di concepire l'esatto opposto: lo sviluppo linguistico dei bambini di queste culture non risulta né difforme né differito. La tesi che ne emerge consolidata, stando così le cose, è quella relativa a un vero e proprio istinto del linguaggio. La disposizione del neonato al linguaggio non può quindi dipendere dalle modalità d'insegnamento, altrimenti perfino il rapporto tra adulto e bambino sarebbe minacciato e impossibile a strutturarsi. Nel kivunjo, una variante del linguaggio bantu, il verbo NAIKIMLYIIA significa "egli lo sta mangiando per lei" e si compone di otto parti: in particolare, Pinker ci fa notare che N è un fonema di riconoscimento mediante il quale il parlante comunica che la parola in questione è l'oggetto della conversazione, la prima I indica il tempo presente e la M indica il beneficiario dell'azione. Sembra che, per un bambino, l'acquisizione di questi moduli linguistici non sia affatto un problema [PINKER, S., 1994, The Language Istinct, trad. it. di G. Origgi, 1997, L'istinto del linguaggio, p. 117]. La sua predisposizione linguistica, pertanto, è già sufficiente a ricevere, elaborare e riprodurre un input del genere.
 

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