Oggi si discute spesso di bullismo, sia per una crescita rilevante del fenomeno sia per la maggiore attenzione ad esso dedicata da tutte le figure inerenti all’educazione e al disagio. A tal proposito, si rilevano le difficoltà di numerosissimi ragazzi, soprattutto in età preadolescenziale, che faticano a veicolare adeguatamente i propri impulsi, spesso maschere di bisogni ben più profondi, verso obiettivi positivi finalizzati, per esempio, all’autorealizzazione.
Il bullo o la bulla possono esercitare una sorta di potere personale grazie alla presenza di un senso di fragilità negli altri, generando dinamiche gruppali, spesso nei contesti scuola, che rimangono irrisolte o inadeguatamente trattate. Perché un ragazzo diventa bullo? Cosa determina una maggiore vulnerabilità nell’età preadolescenziale? La preadolescenza è un periodo in cui la contemporaneità e il conflitto tra fattori biologici sostenenti la crescita e, al contrario, fattori educativi, che frenano la presa di coscienza della responsabilità verso di sé e gli altri, determinano una vulnerabilità che li espone a comportamenti disfunzionali e a disagi e, tra questi, appunto, il bullismo. Il bullismo è quindi un fenomeno che racchiude il bisogno di espressione del Sé in relazione all’altro, un comportamento o una serie di comportamenti che esprimono insicurezza, scarsa autostima e immaturità emotiva.
Oggi più di 200 milioni di bambini e di giovani nel mondo subiscono prevaricazioni dai compagni: numeri, questi, che sottolineano il peso di questo fenomeno che incide su una larga fetta delle generazioni più giovani, soprattutto nei paesi industrializzati. Il bullismo in preadolescenza mostra peculiarità differenti rispetto a quelle che caratterizzano il fenomeno nell’infanzia: gli atti di prepotenza diventano repentinamente più sottili e indiretti, la frequenza dell’attacco diminuisce, mentre aumenta l’intensità e, inoltre, appare nella scena anche la figura dell’adulto che, personificato nel ruolo del genitore o dell’insegnante o di quant’altri abbiano delle responsabilità nei confronti dell’adolescente, si mostra, a volte, non sufficientemente preparato nel fronteggiare le prevaricazioni, partecipando in tal modo, involontariamente, all’espansione di una cultura dell’indifferenza.
Il bullismo non è riducibile alla condotta prepotente del singolo, ma presenta una configurazione multidimensionale e relazionale, tale da coinvolgere tutto il gruppo in cui si manifesta, attraverso dinamiche caratterizzate soprattutto da prevaricazione. Uno dei fattori su cui si è concentrato il maggior numero di ricerche sul bullismo, tese a tracciare una sorta di identikit del bullo e della vittima, è il fattore personalità. In riferimento al bullo le caratteristiche personologiche correlate alle origini del comportamento prepotente sono: aggressività generalizzata, impulsività, irrequietezza, scarsa empatia, atteggiamento positivo verso la violenza. Con riferimento alla vittima invece: stato di agitazione ansiosa, insicurezza, scarsa autostima. Oltre alle caratteristiche personologiche, bulli e vittime risultano entrambi differenziarsi dai compagni per altre peculiarità. Se si tratta di interpretare le emozioni sui volti altrui, sono le vittime a mostrare una competenza inferiore, rivelando scarsa padronanza della grammatica emotiva. Se si tratta di raccontare episodi rilevanti della propria esperienza, sono di nuovo le vittime che rivelano doti più limitate; producono, infatti, storie meno complete e si avvalgono di uno stile narrativo meno evoluto. Vi è un’area in cui i bulli si distinguono nettamente in senso negativo rispetto sia alle vittime che agli altri ragazzi, ovvero quello del disimpegno morale. Si tratta di un meccanismo socio-cognitivo di autoregolazione che consente al soggetto di allentare il controllo morale, nonostante abbia compiuto comportamenti trasgressivi. È proprio quel meccanismo definito processo di deumanizzazione, che permette loro di infierire sulle vittime senza provare sensi di colpa.
Bulli e vittime non sembrano distinguersi tra di loro rispetto alla rete di amicizie nell’ambito della classe; entrambi hanno un eguale numero di amici, con preferenze verso compagni simili a sé, creando così una situazione generale di rinforzo delle diverse posizioni.
Riepilogando: risulta evidente, dai dati empirici, che i bulli si caratterizzano soprattutto per eccessiva impulsività, scarsa competenza empatica e completo disimpegno morale; le vittime si caratterizzano soprattutto per insicurezza, scarsa autostima e scarsa padronanza emotiva.
Cosa possiamo fare? Come intervenire? Da un punto di vista gestaltico il bullo e la vittima possono definirsi come soggetti “non pienamente in contatto con alcuni aspetti di sé stessi” e pertanto “incapaci di stabilire un contatto funzionale al confine con l’altro”, seppur ognuno in forme diverse; nelle diverse modalità di esprimere ognuno il proprio ruolo nel copione istituitosi, probabilmente non conoscono né sperimentano un pieno senso del Sé, ma solo una forma adattata del Sé. Il bullo ha trovato un modo di ‘stare con’ caratterizzato dalla prevaricazione e dalla deumanizzazione, modalità che possono essere intese come resistenze al contatto percepite come protettive e di conferma al proprio essere nel mondo. Al contrario la vittima è sbilanciata nella polarità della sottomissione, e non conosce altre forme per entrare in relazione con.
Cosa fare? L’orientamento gestaltico integrato è un modello di lettura e intervento che guarda all’individuo ponendosi in una prospettiva olistica propositiva e di apertura verso nuove possibilità. Quando un individuo si vede costretto all’interno di uno schema rigido, un’etichetta definita dal suo essere e fare, come nel caso del bullo e della vittima, non può evolversi in quelle che sono le sue potenzialità, se non costringersi ad una realtà limitata e limitante. Gli stimoli creativi e il campo di esperienza che l’orientamento gestaltico offre, possono diventare potenti strumenti di ri-orientamento anche per il preadolescente rappresentato nei ruoli di vittima o di bullo; può offrir loro e a chi assiste nuove visioni di sé e fargliele direttamente sperimentare, attraverso processi attivi di conoscenza e consapevolezza che permettono una ri-decisione esistenziale ed una rimessa in gioco di nuove modalità di adattamento, in un una fase evolutiva in cui ancora tutto è soltanto possibilità.
Il processo di intervento è inteso quale esperienza che si esplica nel presente fenomenologico, in quello che diventa campo di apprendimento di nuove possibilità di esistenza. L’obiettivo è condurre la persona a ri-trovarsi, ad essere maggiormente in contatto con sé stessa, a riconoscere le proprie emozioni e i propri pensieri, e a confrontarsi con i propri bisogni e i propri desideri. Si dà attenzione alle emozioni, alla loro espressione e alla loro canalizzazione all‘interno di processi dialogici e creativi. L’esperienza permette di elaborare il materiale presente in figura, alimentando processi di riconoscimento delle emozioni, di restituzione di dignità ad ognuna di esse; di collocazione nel corpo e di orientamento per la scarica, sempre direzionata all’integrazione con le altre componenti presenti nel campo intersoggettivo.